12 ottobre 2011

D'un amore così vero, d'un amore così raro (1/3)

La città, concettualmente, cartograficamente, si staglia cristallina: mai un colpo di testa, un imprevisto, mi segui Sandy? L’ananasso che s’incrocia col salice scorre sempre parallelo all’arancia, è un assioma botanico prima che urbanistico, e allora riesci mica a perderti, foss’anche la prima volta che: di chiedere indicazioni non c'è bisogno, ti bastano i baluginii nelle mirate gonfie di stupore e disorientamento. All’incrocio tra l’ananasso e il salice c’era uno sottoscala, ti ricordi orsacchiotto?; in quel sottoscala là prova a immaginarci gli occhiali tondi, gl’inverni rigidi, una Brooklyn gelata e tutt’affatto sfarzosa,  il sangue freddo e le colazioni da Tiffany; ma erano tempi differenti, più barbini, dovrai convenire con me; e adesso guarda la punta al di là delle Heights: vedi com’è spoglia, non ti pare?



In nessun altro luogo come a Nuova York i punti cardinali sono così puntuali, mai altrove son stati di maggior aiuto all’uomo. Sai sempre dove ti trovi, anche senza le iRòbe.  C’è chi diceva che guardando una pianta di New York hai come una rivelazione, ultima e definitiva: ci ritrovi l’organo femminile per come l’hai sempre visto nelle tavole degli atlanti d’anatomia, in sezione. E allora Manhattan è il generoso utero, Staten Island una Ghiandola del Bartolino fatta di terrazze denti d’oro e piccioni, il Queens e il New Jersey  tube di Falloppio poco raccomandabili, eppure coi canali, e le arterie e i capillari, tutto quanto. Sosteneva, chi s’addentrava in questa similitudine ardita, che laddove il transito dev’essere fluido non si può evitare di copiare la natura. Uguali bisogni generano uguali risposte.  E a farsi prendere la mano, anche la Statua della Liberta, Lady Liberty, diviene un gigantesco clitoride, tenace, premonitorio. Da Nuova York non se n’esce con le ossa sane, se incroci l’amore della vitatùa.

[continua]

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